Note critiche

Note critiche

Prof. Poalo Giansiracusa ( Storico d'Arte , Direttore Museo Civico d'arte Moderna e contemporanea di Floridia e Troina )



Gaetano Barbarotto, l’arte come monito. Quella di Gaetano Barbarotto è una pittura evanescente e sensuale, il suo colore rarefatto si posa come polline leggero su un pianeta in disfacimento generando un messaggio forte come un grido lacerate che ci esorta al rispetto della natura, alla salvaguardia della vita in tutte le sue forme. Barbarotto dipinge esortazioni rivolte all’umanità nuova, a questo sistema terrestre in cui lo sfruttamento sconsiderato di ogni risorsa sta portando allo svuotamento della stiva della linfa vitale. Nelle sue opere i ricordi atavici di un mondo contadino basato sull’armonia e il rispetto appaiono come immagini in dissolvenza sul murassecco della memoria. Ad essi resta ancorato il pensiero anche se l’onda infelice di rifiuti di plastica invade lo spazio presente. Quella di Barbarotto è una pittura che non abbassa la guardia della difesa dei valori, anzi alza orgogliosa il vessillo della ragione. L’Arte non può tacere, l’artista non deve tacere! Nella trincea della quotidianità l’artista, libero da ogni condizionamento, deve portare il suo canto libero fatto di colore delicato, di creature amabili, di sogni incorruttibili. Noi non siamo padroni di nulla ma solo temporanei passeggeri del sistema, per tale ragione abbiamo la responsabilità di lasciare agli altri ciò che abbiamo ricevuto in dono. Una rosa dipinta con tocchi carezzevoli sembra essere il dono dell’artista alla Terra, omaggiandola per il suo viaggio infinito. Paolo Giansiracusa.

Prof. Tommaso Romano ( Critico d'Arte, Storico d'Arte , Scrittore e Editore)



 

Aristotele sosteneva che lo stupore e la meraviglia sono la radice delle idee e del reale.

Barbarotto dipinge le sue meraviglie del mare che, come tali,sono individualmente la sua continua esperienza diretta con la scoperta - che egli peraltro pratica e non solo contempla - degli abissi marini, di tutto ciò che è nel mondo liquido, di quell’universo d’acqua che consideriamo a volte ornamento e non fondamento di vita, ma vero polmone.

Approccio personale, in beata solitudo si potrebbe dire, alla ricerca di una conoscenza che scorge, ascolta i silenzi e ne valuta i suoi segreti.

Cosi è la metafisica degli azzurri marini di Barbarotto: una gnosi senza un approdo definitivo, la scoperta del sé attraverso l’esperienza e la pratica dell’arte che, nel suo felice caso, vive di materiali plurali che si inverano in cromaticità ulteriore fra una figurazione accennata e una surrealità dell’espressione che si disseta di mare, di fondali,  di pesci, di flora marina, senza essere stucchevole presa fotografica senza effetto anzi, lasciando alla immaginazione critica quelle sirene che sembrano fargli compagnia.

E’ una visitazione vibrante dell’anima immersa nel lucente spettacolo della natura, spesso violentata e invasa da rifiuti che l’uomo senza qualità destina incoscientemente anche al mare.

La tensione morale di Barbarotto la si può cogliere allora in questa duplicità: l’esperienza dell’ignoto che è bellezza, il rischio che pure la natura ci propone e la violenza da combattere per un equilibrio ecologico da risanare, non solo materiale.

Barbarotto ha, quindi, un suo percorso ben chiaro, che non ha bisogno di una esegesi tanto è lucente alla sua  spiritualità e intima sensibilità.

Restano aperte le finestre dell’anima al fruitore che sa soffermarsi oltre il quadro stesso, penetrandolo in armonia e rigore, se possiede gli elementi per una vocazione a concreare con l’artista stesso, una renovatio ma mutazione di sé, oltre le apparenze.

Incedere assai personalizzato questo delle opere di Gaetano Barbarotto, che ti connette come per incanto alle onde e ai suoi figli, alle alghe, al rosso dei coralli e che denomina danzatori marini, una esemplare tecnica mista su tela.

La cromaticità è sempre lucente peraltro, senza peccare di onnipotenza sovrastante ciò che invece è un’inventiva lirica e materia del sogno, autenticamente sostenuti da una capacità tecnica che anche le sue incisioni come ha notato il grande Maestro Togo confermano in modo convincente ( ne è un felice esempio un disegno a china Giro d’Italia 2020).

Barbarotto con le opere d’acqua cromatica e intrise di atmosfere a volte fiabesche a volte oniriche, consegna così un mondo, il suo mondo, imparagonabile al canone estetico vigente e libero senza confini angusti di nuotare verso i fondali perenne rinascita, che l’acqua evoca come musica d’origine e che l’Artista ci consegna come autentico dono.

                                                                                               Tommaso Romano  agosto 2021

Prof. Mario Zito ( Assessore Beni Cuturali Comune di Palermo)



Il Racconto continua... con le opere di Gaetano Barbarotto in mostra in un luogo simbolo della città: la Real Fonderia alla Cala. La città riapre i propri spazi... ed è festa.
Nelle opere presentate nella mostra organizzata alla Real Fonderia traspare un senso autentico del mare che per mano dell’artista Gaetano Barbarotto riesce ad offrirci scenari straordinari che raccontano storie, emozioni, stupore. Il mare ci meraviglia e lo fa ancora di più quando attraverso lo sguardo pittorico di un artista ci accarezza e ci porta in volo verso l’infinito.
Gaetano Barbarotto compie un viaggio della vita che lo riporta alla sua terra, la Sicilia, per esplorarne luoghi nascosti dell’abisso che diventano i luoghi dell’anima. Un viaggio ancestrale per ritrovarsi. La Mostra “Meraviglie del mare”, ci riporta alle meraviglie della vita nel suo contesto umanistico ed è un forte richiamo a rispettare il mondo e la sua natura.

Prof.ssa Anna Maria Esposito ( Docente di Storia dell'Arte e Critico d'Arte )



Il mare di Barbarotto 

Esseri umani eterni, che calcano il suolo del tempo. Alzano verso l'orizzonte sguardi larghi carichi di sogni. Alzano verso l'orizzonte iridi trasparenti, che riflettono aria e vibrazioni, cercando il punto che concentra l'infinito. 

Anime che viaggiano nei secoli, riconoscendo come i loro corpi siano provvisori.

È faticoso vivere nella carne, la quale è satura di desideri imperiosi e monotoni.

Lo spirito tende all'espansione e quando ancora riscopre i confini della sua prigione è nuovamente incredulo.

Allora attendiamo il momento nel quale potremo essere ciò che già siamo, e le anime si incontreranno,  schioccando come scintille. 

Mentre attendiamo l'intima ispirazione, impariamo a comprendere il codice: sapienza che richiede anni di dedizione costante. 

Le anime elette attraggono dietro sé il resto dell'Umano, che riconosce loro il compito di indicare le strade. 

Poeti, danzatori, esploratori, missionari, scienziati e tutte le forme della ricerca (pardon, volevo dire “dell’Arte”)… anime nobili che ostinatamente allargano i confini, spingendo all'estremo la potenzialità dell’uomo. Qual è il fondamento di questa tensione?

Benedizioni sugli artisti che spesso di questo universo, sostrato del mondo, sono sentinelle, e cavatori. L'artista vero non sa perché dovrebbe fermarsi. Ignora, appunto i confini. 

Chi vive immerso nelle fami di riconoscimento sociale, ricchezza da sfoggiare, desiderio di divorare gli altri per nutrirsene, lui no, non è in grado di leggere l'Arte.

 Cerchiamo l'l’infinito. E ne traiamo significazione nel ventre tiepido e rassicurante del mare, dove vive un mondo altro, che respira acqua. Come visitatori, entriamo in esso.

Nasce ora il problema della rappresentazione. Un tema trattato infinite volte con infinite tematiche e stili.

Gaetano si avvicina con rispetto e amore a questo mondo e, nella sua sensibilità estrema (la sensibilità è il dono dei bambini e richiede un incredibile impegno costante, forza e testardaggine per serbarla nell’età adulta), lo ripropone per mezzo delle capacità tecniche acquisite con ferma certezza negli anni di formazione, poi rafforzate nella sua carriera. 

Una sensibilità estetica fortissima, unita ad una rara signorilità, di cui l’artista è geloso e che deve essere scoperta per riconoscerla. Ma quando ciò accade ti accorgi che non si tratta di un atteggiamento della scorza, come avviene quasi per tutti. 

È invece una dote dell’anima che l’artista ha avuto l’opportunità di coltivare per mezzo dei fatti della vita, opportunità che ha afferrata e custodita con forza e saggezza.

Qui sta la sua originalità: ha afferrato le idee, le ha rielaborate, fatte sue e amate con gelosia. 

Per cui, se uno sguardo non è privo di pregiudizio, e non è aduso alla grandezza, non vede immediatamente certe caratteristiche che si rivelano soltanto all'interesse di chi cerca davvero. 

E quando le scopri, comprendi l’originalità del percorso: egli è un uomo che approfondisce ogni settore della sua ricerca artistica. E uno di questi riguarda il mare, amato svisceratamente nelle sue trasparenze e nelle sue creature; ed esse appaiono come fantasmi, come rivelazioni che si disvelano in forme provvisorie colte dall’occhio di chi cerca con un’attenzione in un certo senso adorante.

Epifanie misteriose, appunto. Meraviglie del mare: ogni essere e  bagliore di luce che a un’osservazione più attenta mostra colori nascosti che appaiono inaspettati e stupefacenti; creature al cui interno palpitano anime segrete che attingono a sistemi di pensiero primitivi ma assoluti ed immutabili. Trasparenze che diventano iridescenze accarezzate  con amore dell’artista che della sua perizia tecnica sviluppata in anni ed anni, sua fonte di sostentamento, attinge le abilità per mostrare ciò che a noi, creature di terra, è precluso. 

E poi, il guizzo che rivela il biancore abbagliante e subito inghiottito dall’oscurità blu che copre e oscura.

Certi doni sono riservati soltanto ad  alcuni privilegiati, che con vero tremore osservano il mistero che eppure trapela ovunque volgiamo lo sguardo, che rinunciamo a indagare per incapacità e incredulità. 

Per questo racconto, egli ha scelto nelle sue opere un  medesimo formato.  E come avviene anche per le opere di Monet disposte lungo le pareti dei luoghi di esposizione, esse ci avvolgono con le loro vibrazioni, lasciandoci gustare atmosfere umide e subacquee. Pesci e coralli come apparizioni, e il silenzio e il fresco del mare. Insomma, un gesto di freschezza consapevole, con la nobiltà dell’arte vera.

Aspettiamo, curiosi, i suoi nuovi racconti. Nel frattempo, assaporiamo l’eleganza sofisticata e concisa di questa serie.

 

Anna Maria Esposito

Palermo, 27/9/2021

Dott. Massimiliano Reggiani ( Giornalista e Critico d'Arte )



I dipinti di Gaetano Barbarotto riflettono una profonda maturità culturale e quella tavolozza di colori che solo l’origine geografica dell’artista può spiegare. Nel fare arte, infatti, coesistono sia la parte volontaria ed accademica che la struttura ancestrale, riflesso dell'ambiente, delle sedimentazioni culturali e delle vicende storiche; oltre, naturalmente, al vissuto personale e all’universo di emozioni che diventano identità e poetica individuale. L’artista, se consapevole come lo è Barbarotto, riallaccia così intuizioni e antiche sapienze altrimenti erose e disperse dallo scorrere incessante del tempo.

 

In mostra quattordici opere ognuna di un metro per un metro, tele quadrate per dare equilibrio e serenità a chi guarda; in ognuna la composizione è avvolgente, a spirale: la figura del cerchio inscritta nel quadrato, per associare il dinamismo alla stabilità. È un palese richiamo all’architettura: il Panteon, Santa Sofia di Costantinopoli, l’arte bizantina; sono i monumenti delle grandi civiltà mediterranee. La tecnica è materica, mescola carta, colla, canapa, colori acrilici e diluenti per ottenere una superficie brillante ma irregolare, una tessitura che ricorda i mosaici, che intride la materia di luce.La pennellata è impressionista, la rappresentazione si ricompone continuamente nello sguardo dell’osservatore in un baluginare di piccole variazioni luminose. La scelta del punto di vista è strategica e raffinata: la linea d’orizzonte altissima con una prospettiva a volo d’uccello rende la sensazione di galleggiare appena sotto il pelo dell’acqua, ammirando le sfuggenti meraviglie del mare senza poterle definire esattamente. Un’immersione senza maschera, la forza dominante dell’azzurro che assorbe e spegne i riflessi del sole.L’uso del colore riesce a far coincidere emozione e significato. Il fine di queste opere è la bellezza, la fuga dall’esperienza claustrofobica della pandemia, un luogo di pace che possa improvvisamente aprirsi fra le pareti domestiche. Le gradazioni di blu sono le più adatte, non perché è il colore del mare ma della quiete. I bianchi, i colpi di luce danzano leggeri, affascinano con le mutevoli e cangianti geometrie: ordine senza diventare monotonia; sono macchie astratte e contemporaneamente pesci. I colori caldi, gorgonie, coralli e attinie stimolano l’interesse, diventano presenze rassicuranti senza diventare il centro.

 

Raffigurare le meraviglie del mare non è certo una novità per molti artisti ma non è neppure così scontato come potremmo credere. Per questo le tele di Gaetano Barbarotto sono coraggiose e straordinarie, perché procedendo a ritroso nell’arte e nella storia, capiremo quanto sia innovativa la sua ricerca. Nella pittura moderna il mare è troppo spesso una semplice striscia azzurra, l’orizzonte, il confine, lo sfondo di un’altra azione, quella principale. Pensiamo all’ottocentesca scuola danese di Skagen concentrata sulle comunità costiere, l’eroismo dei pescatori, la borghesia affacciata sulla spiaggia. Gli acquarelli scientifici nei viaggi d’esplorazione del Capitano Cook, il turbinio della pittura di Turner, il velo lucente senza onde nelle vedute del Canaletto, ad esempio, non svelano nulla di quanto invece molti siciliani, senza essere necessariamente Enzo Maiorca, hanno potuto vedere e assaporare fin dai primi tuffi dell’adolescenza.Il mare vissuto da dentro è un’esperienza unica, che rimane cucita addosso come il sapore del sale, il soffio del vento, lo sciabordio lungo i moli, il correre dei granchi sulla battigia, i sassi del fondale che si scompongono in un caleidoscopio di riflessi e di colori. Questo non significa balzare a grandi passi nell’arte antica, perché anche lì è assai rara una percezione immersiva del mare. Le acque popolate di mostri della tradizione cristiana, quelle protettrici e salvifiche che si aprono e richiudono al volere di Dio, le acque avare prima della pesca miracolosa, quelle miracolose che sostengono il cammino, i pesci quasi astratti che simboleggiano nelle catacombe il Salvatore, sono solo immagini allegoriche. Anche il naturalismo spinto quasi all’eccesso dei mosaici romani, sia ai confini settentrionali per Aquileia o nei pavimenti campani di Pompei raffigurano il frutto della pesca, l’abbondanza, il fasto della tavola imbandita dall’anfitrione. Gli Eroti di Piazza Armerina si armano giocando di nasse, fiocine e reti ma non guardano con stupore e rispetto allo scrigno di bellezza che sta appena sotto le onde.

 

Non lo hanno fatto i vasai di Corinto, né quelli di Atene quando anche i loro pesci di ineccepibile bellezza servono semplicemente a completare i decori, senza vita propria, senza una reale necessità di esistere. Quando vi è Teogonia il mare è semplicemente un regno di acqua, di vulcani e terremoti. Pesci e coralli, Ninfe e Nereidi ne fanno parte, spaventano e ammaliano, o sono sirene incantatrici o i mostri vorticosi di Scilla e Cariddi. Eolo gioca con le onde e si nasconde nel suo piccolo arcipelago, Odisseo solca le vie d’acqua, si affida al vento per tornare a casa; Agamennone sacrifica la figlia pur di salpare verso la guerra. Bisogna tornare a quel periodo del mito, all’età del bronzo, quando i colli di Roma erano disabitati e il Partenone non era ancora stato immaginato per trovare qualcosa di simile, di altrettanto vivo e vibrante delle tele di Barbarotto.Accadde in un’isola modesta, a Creta, oltre tre millenni fa. In un momento di splendida fioritura culturale, sotto influenze del medio oriente un popolo raffinato abbandonò la decorazione astratta della ceramica per catturare a sua volta le meraviglie del mare in immagini di rara bellezza, come il polpo della brocchetta di Gurnià o nelle sale del Palazzo di Cnosso. Ancora liberi dal giogo di Micene, al centro di traffici mercantili, i loro artisti ebbero il coraggio di lasciarsi ispirare direttamente dal mondo naturale, aprendo lo scrigno palpitante di vita che il Mediterraneo celava sotto le onde. Quegli oggetti ci parlano ancora, con semplicità e immediatezza, frutto di una tecnica raffinata e di una evidente sete di bellezza. In Sicilia, in un tempo infinitamente lontano, un altro artista ha saputo cogliere la medesima gioia di vivere, cercando nell’azzurro infinito la propria libertà espressiva.

Massimiliano Reggiani Giugno 2021

Massimiliano Reggiani con la collaborazione di Monica Cerrito



 

Grande successo a Palermo per "Meraviglie del mare" di Gaetano Barbarotto.Folto pubblico alla Real Fonderia per il vernissage di Gaetano Barbarotto, stupore e ammirazione davanti ai colori vividi ed intensi del pianeta azzurro.

L'Artista, nato a Palermo, ha il dono della forma, depurata da una resa calligrafica, priva di simmetrie forzate, spesso irregolare ma sempre molto attinente con l’essenza di ciò che rappresenta: spugne e coralli colti nelle profondità, alghe mosse dalle correnti, banchi di pesci accennati e guizzanti. La sua mostra del ritorno in Sicilia, “Meraviglie del mare” è stata raccontata dal professor Mario Zito, Assessore alle Culture del Comune di Palermo, con parole semplici e pregnanti: “Nelle opere presentate nella mostra organizzata alla Real Fonderia traspare un senso autentico del mare che per mano dell’artista Gaetano Barbarotto riesce ad offrirci scenari straordinari che raccontano storie, emozioni, stupore. Il mare ci meraviglia e lo fa ancora di più quando attraverso lo sguardo pittorico di un artista ci accarezza e ci porta in volo verso l’infinito. Gaetano Barbarotto compie un viaggio della vita che lo riporta alla sua terra, la Sicilia, per esplorarne luoghi nascosti dell’abisso che diventano i luoghi dell’anima. Un viaggio ancestrale per ritrovarsi. La Mostra ‘Meraviglie del mare’ ci riporta alle meraviglie della vita nel suo contesto umanistico ed è un forte richiamo a rispettare il mondo e la sua natura”.

Più complessa, invece, è la lettura che ne dà il critico d’arte ed editore professor Tommaso Romano, nella presentazione della mostra e nel testo in catalogo. Il professor Romano ne coglie l’aspetto del percorso individuale verso una conoscenza appresa intuitivamente, confrontandosi fisicamente con la potenza e l’immensità del mare. Da questo viaggio di continue scoperte l’artista non solo alimenta la propria crescita individuale ma, in quanto fine comunicatore, ne porge l’essenza attraverso i dipinti. In questo modo anche l’osservatore può rivivere l’esperienza solitaria dello stupore e della meraviglia se solo riesce a guardare oltre la fisicità dell’opera, a spiccare assieme all’artista questo tuffo nel fascino di un mondo ignoto.

"Aristotele – spiega il professor Romano - sosteneva che lo stupore e la meraviglia sono la radice delle idee e del reale. Barbarotto dipinge le sue meraviglie del mare che, come tali, sono individualmente la sua continua esperienza diretta con la scoperta - che egli peraltro pratica e non solo contempla - degli abissi marini, di tutto ciò che è nel mondo liquido, di quell’universo d’acqua che consideriamo a volte ornamento e non fondamento di vita, ma vero polmone.

Approccio personale, in beata solitudo si potrebbe dire, alla ricerca di una conoscenza che scorge, ascolta i silenzi e ne valuta i suoi segreti. Cosi è la metafisica degli azzurri marini di Barbarotto: una gnosi senza un approdo definitivo, la scoperta del sé attraverso l’esperienza e la pratica dell’arte che, nel suo felice caso, vive di materiali plurali che si inverano in cromaticità ulteriore fra una figurazione accennata e una surrealità dell’espressione che si disseta di mare, di fondali,  di pesci, di flora marina, senza essere stucchevole presa fotografica senza effetto anzi, lasciando alla immaginazione critica quelle sirene che sembrano fargli compagnia.  È una visitazione vibrante dell’anima immersa nel lucente spettacolo della natura, spesso violentata e invasa da rifiuti che l’uomo senza qualità destina incoscientemente anche al mare.

La tensione morale di Barbarotto la si può cogliere allora in questa duplicità: l’esperienza dell’ignoto che è bellezza, il rischio che pure la natura ci propone e la violenza da combattere per un equilibrio ecologico da risanare, non solo materiale. Barbarotto ha, quindi, un suo percorso ben chiaro, che non ha bisogno di una esegesi tanto è lucente alla sua spiritualità e intima sensibilità. Restano aperte le finestre dell’anima al fruitore che sa soffermarsi oltre il quadro stesso, penetrandolo in armonia e rigore, se possiede gli elementi per una vocazione a concreare con l’artista stesso, una renovatio ma mutazione di sé, oltre le apparenze.

Incedere assai personalizzato questo delle opere di Gaetano Barbarotto, che ti connette come per incanto alle onde e ai suoi figli, alle alghe, al rosso dei coralli e che denomina danzatori marini, una esemplare tecnica mista su tela. La cromaticità è sempre lucente peraltro, senza peccare di onnipotenza sovrastante ciò che invece è un’inventiva lirica e materia del sogno, autenticamente sostenuti da una capacità tecnica che anche le sue incisioni come ha notato il grande Maestro Togo confermano in modo convincente.

Barbarotto con le opere d’acqua cromatica e intrise di atmosfere a volte fiabesche a volte oniriche, consegna così un mondo, il suo mondo, imparagonabile al canone estetico vigente e libero senza confini angusti di nuotare verso i fondali perenne rinascita, che l’acqua evoca come musica d’origine e che l’Artista ci consegna come autentico dono”.

Massimiliano Reggianicon la collaborazione di Monica Cerrito

"Meraviglie del mare" di Gaetano Barbarotto a cura di Massimiliano Reggiani e Monica Cerrito testi in catalogo del professor Tommaso Romano e di Massimiliano Reggiani con la partecipazione dell'Assesore dei Beni Culturali del Comune di Palermo Prof Mario Zito e il Maetro Enzo Migneco in arte Togo

Palermo, Real Fonderia alla Cala dal 21 settembre al 1° ottobre 2021

 

Massimiliano Reggiani con la collaborazione di Monica Cerrito



 

“INQUINAMENTI” è la mostra dell’estate, quel necessario ritorno alla consapevolezza a fronte della generale euforia per una pandemia quasi sotto controllo e le vacanze ormai vicine. Una scelta coraggiosa da parte della Galleria Studio 71 di Palermo che ha invitato sette artisti a riflettere sul tema del degrado dell’ambiente per una mostra di 28 opere di grande formato. “E’ un dato di fatto – sottolinea il curatore Francesco Scorsone - che l’inquinamento urbano abbia oramai raggiunto limiti insopportabili: rumori molesti: auto, lavori in corso, illuminazioni stradali, frastuoni di ogni genere sono all’ordine del giorno. Li subiamo, più che per scelta, per non fuggire dalla città ed essere costretti a ritornarvi giornalmente per lavoro e altro. Una mostra, che ha il sapore della denuncia affinché ci si possa destare dal torpore che inconsapevolmente (ma è proprio così?) ci avvolge, visto che, quotidianamente, viviamo le negligenze in ogni ordine e grado della nostra comunità”.

La Galleria Studio 71 ha riunito artisti e intellettuali, chiedendo attraverso i colori o le parole una testimonianza forte e netta, per lanciare un messaggio di allarme contro l’inazione e il disinteresse. Vinny Scorsone analizza il rapporto tra arte e denuncia presentando i sette pittori dell’evento: “L’inquinamento agisce in maniera inesorabile sulle nostre vite. Oggi più di ieri, l’uomo sta rimodellando l’ecosistema trasformando e piegando le regole della natura a proprio piacimento e in questo inizio di millennio, più che nel secolo appena trascorso, molti movimenti sono nati a difesa del Pianeta. Sono sempre in numero crescente gli artisti che dedicano al tema dell’inquinamento intere produzioni. C’è chi fa arte con materiali di riciclo, chi denuncia lo stato delle cose attraverso la street art, chi tramite le nuove tecniche digitali, e chi ancora continua con la pittura, la scultura e le installazioni. Antonella Affronti, Luciana Anelli, Gaetano Barbarotto, Alessandro Bronzini, Elio Corrao, Ivana Di Pisa, Gery Scalzo (gli artisti coinvolti in questo progetto), infatti, hanno dato vita a riflessioni varie e intense sull’argomento trattando non tanto lo scarto in sé, bensì i diversi tipi di inquinamento con i quali, ogni giorno siamo costretti a convivere, vuoi per scelta libera, vuoi per imposizione da parte di altri; vittime e carnefici al contempo di questa Madre Terra tanto poco rispettata”.

Sandra Guddo ha dato la struttura teoretica all’evento, dimostrando quanto mondo laico e religioso si trovino concordi sull’urgenza di agire nell’interesse del bene comune e a tutela delle generazioni future. “L’Uomo, anche se consapevole della Bellezza del creato, ha inteso l’ambiente circostante come uno spazio di cui era il controllore assoluto, il padrone che poteva utilizzare le risorse di quel territorio a suo piacimento, seguendo la logica di meschini interessi che lo inducevano a compiere veri e propri misfatti contro l’Ambiente. La Natura e l’intero ecosistema venivano così brutalmente maltrattati, saccheggiati e talvolta feriti in profondità. Come afferma il filosofo tedesco Hans George Gadamer nella sua opera ‘Verità e Metodo’, l’Uomo ha creduto, da un punto di vista ontologico e non più soltanto epistemologico, che la sua vera natura nei confronti del pianeta Terra fosse quella di esserne il Padrone. Egli invece è soltanto il Custode che ha avuto in dono un bene incommensurabile ed è suo compito proteggerlo e preservarlo per consegnarlo alle future generazioni nelle migliori condizioni possibili. Sembra incredibile come le posizioni filosofiche di Gadamer siano vicine a quanto viene esposto da Papa Bergoglio nella sua Lettera-Enciclica del 24 maggio 2015 ‘Laudato sì’  dove  si afferma che, per salvaguardare il nostro pianeta, occorre un’immediata ‘conversione ecologica, un cambiamento di rotta. Pertanto, bisogna assolutamente mettere da parte l’antropocentrismo in quanto il ruolo dell’Uomo non è quello di concentrare tutto intorno a sé e ai propri interessi ma è quello di saggio Amministratore del Bene comune. L’umanità intera deve rendersi conto che ci troviamo di fronte ad un Imperativo Categorico se vogliamo salvare il genere umano dall’autodistruzione”.

Con parole più immediate, anche Paola Caruso sostiene la necessità di un gesto d’amore verso il pianeta che ci accoglie e sostiene: “Si potrebbe parlare all’infinito riguardo l’impatto negativo dell’uomo sull’ambiente: qualsiasi luogo in cui vivono esseri umani si trova in pericolo, questo è un dato di fatto.

La Terra soffre e ce lo fa notare in tutti i modi, ha bisogno di aiuto, di essere salvata prima che sia troppo tardi. Può essere già sufficiente pensare al clima che negli ultimi periodi sembra impazzito, evidentemente mutato, estremizzato. Colpa nostra! Siamo davvero predisposti e pronti a rispettare e salvaguardare il nostro amato Pianeta che ci ospita amorevolmente ma che non riceve niente di bello in cambio dagli esseri umani? Riusciremo a limitare le azioni dannose nei confronti dell’ambiente e a farlo risplendere di una nuova luce? Chissà!”

Fra gli interventi in catalogo anche il nobile appello rivolto agli Artisti dal critico e storico Gonzalo Àlvarez García, nato a Leon in Spagna nel 1924. È un invito accorato e poetico lanciato da chi ha potuto vedere da vicino fra guerra e società dei consumi, bellezza e tragedia di tutto il Novecento.

“All’inizio del secolo scorso la Rivoluzione Industriale con le sue splendide diavolerie suscitò l’entusiasmo di industriali, economisti, politici e masse di lavoratori. Anche i Poeti e gli Artisti esultarono. Il Futurismo fu un inno wagneriano al Progresso, all’Industria, all’automobile che moltiplicava la nostra libertà. Negli anni Cinquanta l’invenzione della plastica fu accolta nel mondo intero come la “manna” miracolosa dell’Avvenire. Dopo decenni di esultanza ‘globale’ ci rendiamo conto che i miracoli della Tecnica e dell’Industria uccidono. Avvelenano l’aria, la terra e l’acqua. Milioni di individui inermi perdono la vita solo per aver “respirato, mangiato e bevuto’. Il Progresso produce benessere e morte. Che fare? Progredire o morire? Siamo vanitosi, petulanti e ingordi. Per un po’ di potere, di denaro o di piacere ci giochiamo l’anima. Non ci basta abitare nella ‘Casa Terra’. Vogliamo essere padroni di violentarla e sporcarla impunemente. Le leggi umane lo consentono spesso. La Giustizia Universale non lo tollera. Queste parole vogliono essere un invito agli Artisti perché scendano in campo: Salviamo l’Umanità dalla sua rozzezza! Salviamo la Cultura dall’inquinamento culturale! (c’è anche l’inquinamento culturale, e non è il meno pericoloso). Pittori, musicisti, poeti, scienziati, filosofi, teologi … tutti insieme nella Piazza Universale della Speranza! Forse tutti insieme riusciremo a rompere la corazza di presunzione e di ignoranza che avvelena e paralizza e uccide la Famiglia Umana”.

Massimiliano Reggiani con la collaborazione di Monica Cerrito

INQUINAMENTI a cura di Francesco Scorsone opere di Antonella Affronti, Luciana Anelli, Gaetano Barbarotto, Alessandro Bronzini, Elio Corrao, Ivana Di Pisa, Gery Scalzo; in catalogo testi di Gonzalo Àlvarez García, Paola Caruso, Sandra Guddo, Massimiliano Reggiani e Vinny Scorsone. Corleone (PA) Reggia Borbonica di Ficuzza dal 13 agosto al 31 ottobre 2021

Critica D'arte





Oggi presentiamo Gaetano Barbarotto, artista palermitano che ha cercato nuovi percorsi in una realtà culturale lontana dalla propria terra d’origine. Barbarotto negli anni Settanta, senza abbandonare le proprie vivide radici mediterranee, si proietta nella scena culturale milanese inserendosi nel mondo di Brera, dove ha avuto occasione di conoscere molti altri artisti contemporanei tra cui Migneco, Togo, Bardi, Zancanaro e Treccani. Questi gli hanno permesso di perfezionare le proprie tecniche artistiche e, allo stesso tempo, di assorbire una sensibilità su nuovi orizzonti tematici, dilatando improvvisamente la sua ricerca.

Origini siciliane e orizzonti metropolitani; cosa significa vivere e legare due mondi così lontani?“Il lavoro mi ha indotto a fare spola tra Milano e Palermo, la mia città, che amo e vivo intensamente e alla quale devo molto in termini artistici. A Palermo ho potuto esprimere la mia arte liberamente creando opere volte a stimolare l’interesse verso temi sociali che troppo spesso vengono ignorati.  Ritengo che l’arte nel suo significato più ampio comprenda ogni attività umana che - svolta singolarmente o collettivamente - porti a forme di creatività e tecniche espressive. Se queste raggiungeranno un livello artistico riusciranno sicuramente, con il proprio sublime linguaggio, a trasmetterci emozioni!”

Qual è l’importanza della Biennale e perché ha valutato positivamente la scelta di Palermo come una delle sedi espositive?“Per me BIAS rappresenta un grande momento di incontro culturale, uno scambio ed un confronto che nascono al centro del nostro Mediterraneo, per poi propagarsi in tanti altri luoghi. BIAS ha l’unico fine di presentare e comunicare l’arte a tutti, superando ogni barriera e aprendosi a qualsiasi lingua e religione. Per questo è importante il messaggio, proprio perché non è una mostra, la vetrina di uno stile, ma un luogo dove ognuno può presentare ciò che sente importante, coinvolgendo ed emozionando gli altri, rompendo gli schemi e portando il frutto della propria ricerca. Esporre a Palermo, cuore storico dei commerci marittimi, crocevia di diverse culture e religioni , città riconosciuta nei secoli per le eccellenze artistiche e gli uomini illustri che hanno rappresentato degnamente la città, è dare il proprio contributo ad un flusso millenario di idee, di filosofie, di sensibilità. Quale posto migliore per ricominciare a creare dopo i giorni bui del lockdown? Quale motivo in più per ricominciare a dipingere ed esprimere ciò che per me è importante comunicare?”.

Come lega le sue opere al tema del gioco?“Direi attraverso i contrari. Il gioco è sicuramente uno spazio di naturale libertà, un momento di innocenza e di esplorazione, è la capacità di cancellare barriere e trovare la forza dell’immaginazione. Troppo spesso restiamo ingabbiati nelle regole della vita, di una vita che ci opprime e ci nega diritti fondamentali. Prendere un rifiuto e trasformarlo in pesce, elemento di un banco che agisce con un’intelligenza collettiva, che agisce per il bene comune è la vittoria dell’immaginazione, del rinascere; dare a una lamina di metallo usata quella potenza creatrice che sa portarci in una nuova scala di valori, rispettosa dell’ambiente: Negare lo scarto. La chiocciola che col suo strisciare nega i confini imposti dall’uomo burocrate irrispettoso di questa sua fondamentale libertà: Negare le costrizioni.  Pensiamo al gioco e al giocare, che sono da sempre presenti nella quotidianità dei bambini. Credo che ogni fanciullo abbia il diritto al proprio tempo del gioco, mentre gli adulti sovente rubano questo tempo prezioso ai bambini. Ci sono bambini che non giocano alla pace ma alla guerra, impugnando le armi e imitando gli adulti nei contesti di conflitto dove sono nati. Ho voluto fare una denuncia sociale di questa piaga che interessa molti teatri di scontro armato nel mondo. Negare l’innocenza, negare la libertà, negare la rinascita; attraverso i suoi opposti riscopriamo quel che il gioco è: spensieratezza, esplorazione, trasformazione. Negare è il nostro limite, quello che invece di bimbi ci rende vittime, invece di liberi ci rende schiavi: Negare è il contrario di vivere”.

Gaetano Barbarotto, la coscienza di quello che non avremmo mai dovuto essere.

Massimiliano Reggiani con la collaborazione di Monica Cerrito

Gaetano Barbarotto a BIAS 2020, Palermo Loggiato di San Bartolomeo dal 12 luglio al 12 settembre 2020.

 

Togo ( Artista ) 27 Agosto 2019



Caro Gaetano , l'amore per l'arte e la passione per le incisioni hanno rapito anche te!

Conosco il tuo lavoro degli anni passati, poi le tue scelte di vita ti hanno allontanato da Milano, ma sono rimasti comunque in te il desiderio e la curiosità di approfondire questa antica tecnica e la voglia di aggiungere qualcosa di personale nella realizzazione delle tue belle matrici.

Scava ancora di più in profondità, togli o aggiungi secondo la tua necessità e continua a lavorare pur sapendo che non c'è un punto d'approdo. 

 

Prof. Albano Rossi (Critico D'arte RAI) 1985



Ogni dipinto dell'artista Gaetano Barbarotto, si presenta come una rilevazione dopo un' attesa, un contraccolpo che apre una molteplicità di interrogativi sulla realtà e sulla possibilità di pervenire alla vera conoscenza di alcuni aspetti della vita.

Questo è dovuto a un modo di procedere creativo che si attua in virtù di inquietanti presenze tramite le quali il pittore, sorprendendo la nostra abitudine di pigri spettatori, riesce a mettere in moto il meccanismo delle sue rilevazioni attraverso simboli, allegorie, e allusioni di particolari aspetti di una realtà che esiste e, soprattutto in alcuni territori, dove l'uomo si trova coinvolto.

Il mettere in evidenza alcuni oggetti, come il pupo siciliano e alcune figure dei maestri pupari dentro prospettive di scenografie naturali dei teatrini di marionette, viene a creare una sorta di "scenografia magica" ma anche un dramma pieno di interrogativi e tragedie coperto da quel silenzio ambiguo e omertoso di uomini che senza scrupolo colpiscono la brava gente!

Prof. Giovanni Cappuzzo (Critico D'arte) 1983



La pittura può costituire un fatto effimero , legato quasi esclusivamente al versante della tecnica e al mestiere con le sue scaltrite ragioni formali, sempre capziose ed accattivanti, oppure può costruirsi diversamente, rispondendo a precise motivazioni d'ordine interiore che si esplicano e si evidenziano nella ragione stessa del loro proporsi come fatto artistico.

L'arte infatti si impone come sintesi di ordine formale ma sostanziata da una coscienza d'uomo , con il suo background di interessi e di idealità.

Gaetano Barbarotto da anni porta avanti un suo discorso che mentre si lega ad una sorta di figurazione sentita e pulsante ( l'uomo è al centro dei suoi interessi non soltanto visivi ) , individua in una superiore forma di sincretismo simbolico, il nucleo della sua visualizzazione pittorica .

Così nell'opera con cui l'artista partecipa alla Rassegna dedicata alla memoria di Padre Kolbe , non c'è elemento che possa apparire superfluo e ridondante ; c'è semmai la sintesi estrema con un richiamo per simboli alle condizioni della splendida figura di Padre Kolbe, eroicamente immolatosi in un campo di concentramento nazista, sull'altare di un superiore concetto di umanità .

L'atmosfera che predomina nell'opera è di una rarefatta tensione emotiva raggiunta attraverso un estremo rigore tecnico e una inquietante pulsione della cromia .